Fondamentalismo

ATTENZIONE! Questo post parla di fondamentalismo e sicurezza sul lavoro.
La caratteristica che più contraddistingue il fondamentalismo è la ricerca di interpretazioni letterali e dogmatiche dei testi sacri, oltre che la lettura e rilettura dei testi sacri al fine di cercare nuove verità, "già" espresse dai precetti fondamentali.
Oggi gli approcci fondamentalisti si osservano con frequenza anche in campi dove non penseremmo di trovarli.  Probabilmente ci sono molte spiegazioni: la crescente complessità nel mondo in cui viviamo, la quotidiana vicinanza con usi e costumi  "esotici" o comunque incomprensibili; la mancanza di chiari valori di riferimento nella società in cui viviamo; l'isolamento (sociale); il mancato riconoscimento del proprio "essere" o del proprio ruolo .
Se ci pensate bene, approcci fondamentalisti si trovano un po' ovunque, dalle religioni all'economia, alla politica.
Ovviamente c'è anche chi cerca soluzioni rivolgendosi ai moderni oracoli, i blog. La soluzione è diversa, ma la questione è simile.
Imprevedibilmente, sul lavoro, sono incappato in un  approccio fondamentalista alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro, con la ricerca d sempre nuove verità, nel D.Lgs 81/0, i nuovo "testo sacro", che ha sostituito il 626.
Queste norme - di derivazione comunitaria - hanno formalmente recepito una serie di principi di elevato valore; in particolare prevedono che si debba:
-        valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro
-        mettere in atto tutte le misure di prevenzione e di protezione necessarie,
      -    e nel fare questo, privilegiare le misure collettive rispetto a quelle individuali;
      -    e applicare gerarchicamente le misure tecniche, organizzative e procedurali;
-        programmare il miglioramento delle condizioni di sicurezza;
-        informareformare e addestrare i lavoratori sui rischi presenti
Tutto questo coinvolgendo i lavoratori ed i loro rappresentanti, controllando la salute di chi è esposto a rischi, ecc.
Si tratta di principi di elevato valore sociale culturale e credo che sia difficile non condividerli.
Ma, ... 
in passato, la tutela della sicurezza e della salute sul lavoro è progredita, perché l'attenzione era concentrata su
 "problemi reali". Ci si occupava (prima) di problemi gravi. E lo stabilire cosa fosse grave e cosa no, derivava dal confronto tra diretti interessati e tecnici.

Senza ricorrere ad immagini retoriche quali "i lavoratori erano i protagonisti della sicurezza sul lavoro" si può però affermare che i lavoratori "erano chiaramente i destinatari delle attività per la sicurezza e la salute sul lavoro".
Oggi, in apparenza le regole non sono cambiate. Anzi al limite sono migliorate. Quantomeno in apparenza. 
L'aspetto più rilevante è che sono cambiati i soggetti. I diretti interessati sono al massimo consultati.  

Così il principio del  "valutare tutti i rischi ..."  (tanto ovvio da portare a clamorosi errori) pone alcuni problemi. La "valutazione" si traduce nella pratica in un'analisi acritica in cui in ogni contesto si considerano anche eventualità non pertinenti (quantomeno dal punto di vista pratico) ponendo di fatto tutto sullo stesso piano.
Insomma, se una volta c'era il bianco e c'era il nero, oggi diventa tutto grigio. Ed a molti, su tutti i versanti, sfugge che il fine non è l'ottemperanza a  norme, ma il fine è la tutela della sicurezza  e della salute di chi lavora.
Per altro verso, soprattutto in Regioni dove la programmazione regionale è assente, come il Piemonte, succede che i servizi pubblici di prevenzione (gli "SPreSAL") si occupino in misura preponderante di eventi (degli "infortuni lavorativi gravi " e delle "malattie professionali").
E quando ci si occupa di ricercare le responsabilità nell'accadimento di un evento, si entra in un percorso logico più o meno di questo tipo:
"c'è stato un infortunio", quindi "c'era i rischio che l'infortunio potesse accadere", quindi "il rischio doveva essere valutato" e conseguentemente "dovevano essere messe in atto le misure di prevenzione e/o protezione, collettive e/o individuali, tecniche, organizzative e procedurali" e "il lavoratore doveva essere informato , formato, ecc. per il problema specifico".
Tutto bene  direte voi. E lo dico anch'io.
Ma se si vuole avere (o "se si ha") come l'unico riferimento la "scrittura" e non si è contaminati dalla realtà (o, peggio, "non si vuole correre il rischio di essere contaminati dalla realtà", diventa irrilevante se nello specifico contesto il rischio in questione fosse un rischio noto o un rischio non noto. O, se preferiamo, se il rischio fosse "ragionevolmente prevedibile" oppure no. (N.B.: "fosse" e non "sia". Si guarda al passato, non al presente o al futuro! Si cerca il colpevole. La prevenzione non è più al centro dell'interesse) 
E così capita che l'omessa valutazione del rischio specifico, l'omessa informazione e l'omessa formazione siano il prezzemolo con cui abitualmente si condiscono con responsabilità le indagini su infortuni e malattie professionali.
Ora queste affermazioni si prestano ad aizzare le diverse tifoserie che a seconda di specifici interessi e dogmi potranno scandalizzarsi sulle affermazioni o sulla realtà.
Ma resta il problema che chi non vuole farsi contaminare dalla realtà (e dal dubbio) cade in un approccio fondamentalista. Per evitarlo occorrerebbe considerare la normativa e la realtà
Il guaio è che la normativa non aiuta sia pel la difficoltà ad aggiornare le norme, scrivere norme specifiche e farle permenire ai diretti interessati
Con l'intento di non lasciare spazio ai "furbi", che si "appassionano" all'elusione delle norme, normativa e giurisprudenza esplicitano principi generali, non gli obblighi specifici. Si costruisce così un sistema è efficace per individuare i colpevoli, ma è gravemente inefficace nel far progredire i livelli di prevenzione.
In un mondo fatto al 95% da aziende che occupano fino a 5 addetti, esplicitare una regola, un criterio, una procedura  porta verosimilmente ad una maggiore adozione di comportamenti corretti che non il doversi costruire da soli regole ad hoc. Questa affermazione può sicuramente essere contestata sul piano teorico, ma se osserviamo la realtà, i livelli che si osservano sono così bassi che i dubbi dovrebbero essere facilmente fugati.
Ma al di là dell'inefficacia sotto il profilo prevenzionistico occorre considerare aspetti di sopportabilità sociale. Il sistema sanzionatorio, proporzionalmente più pesante per le piccole aziende e le "tasse" che le piccole aziende pagano a privati per attività di consulenza il più delle volte prive di contenuti e di utilità, stanno gettando un crescente discredito sul concetto stesso di "prevenzione"
In altri termini l'attuale sistema è inefficace dal punto di vista delle prevenzione, inefficiente dal punto di vista del rapporto investimenti / risultati e, quindi, poco sopportabile / sostenibile dal punto di vista sociale.

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