Sicurezza sul lavoro 1 - morti nei cantieri edili e vigilanza


L'ennesimo infortunio mortale in un cantiere edile e l'ennesima sequela di dichiarazioni di circostanza. In questa occasione per fortuna nessuno ha colto l'occasione per mettersi in luce, ma traspare un'assenza di idee. Si è mai fatto qualcosa per la sicurezza sul lavoro? Si può fare qualcosa? Una risposta esaustiva richiede un libro. Due idee per una riflessione, possono invece  trovare posto anche sul blog. 
Lunedì 25 agosto in un cantiere edile di La Cassa è morto un lavoratore edile  sepolto dalla frana di una parete dello scavo per la posa di condotte fognarie.
Le informazioni su cosa sia successo sono disponibili sui giornali. Ma oltre a riflettere su un 62enne che lavora in uno scavo profondo 2 metri (ve li ricordate i lavori usuranti ....?) e chiedersi se le misure di prevenzione protezione fossero presenti (adeguate evidentemente no) è un'occasione per fare alcune riflessioni.
Un'occasione perché, per "fare prevenzione" (per produrre sicurezza) occorre riflettere sulle tragedie per trarne insegnamento e provare ad operare per evitare che si ripetano.

Il giorno successivo su La Stampa è ancora comparso un breve articolo  dove sono espressi una serie di luoghi comuni. Devo dire che in  molti casi si è letto di peggio, ma colpisce che quanto si verificano morti sul lavoro, le  affermazioni paiono senza tempo. Cambia qualche parola, ma i concetti sono sempre gli stessi. Limitiamoci ai due contenuti principali:
  • i morti sul lavoro, in generale, anche nel comparto edile, sono in diminuzione, ma "non si conteggia il lavoro nero" 
  • servono "più controlli nei cantieri e maggiore coordinamento, affidato alla Prefettura tra sindacato imprenditori ed enti ispettivi"
In primo luogo è incredibile che nel 2014 ci sia chi continua a parlare di "numeri " e non di "frequenze" ("tassi"). badate bene che la stessa cosa capita anualmente  in occasione di giornate istituzionali sugli infortuni sul lavoro  o quando l'INAIL pubblica "statistiche" annuali.
Negli ultimi anni, i numeri sono calati per la crisi economica ed in particolare per la crisi del settore delle costruzioni. Si lavora di meno e quindi ci sono meno infortuni. 
Potremmo aggiungere che storicamente nei periodi di crisi sono state osservate riduzioni delle frequenze di infortunio, mentre quando avviene la ripresa economica la frequenza degli infortuni aumenta. Cambiano i ritmi di lavoro, si colgono opportunità avviando molte (troppe) produzioni, l'adozione delle misure di prevenzione non tiene il passo dello svilupo del lavoro.
I "tassi di infortunio" sono lo strumento di misura delle frequenza. Un tasso è dato dal rapporto tra un numero di casi e la dimensione della popolazione esposta moltiplicato per un coefficiente che ne facilita la lettura. Nel caso dei tassi di incidenza si rapporta il tutto ad un unità di tempo.
Per esempio il tasso di frequenza annuo degli infortuni nel 2005 in provincia di Torino era di 22,64 infortuni/1.000 addetti/anno (22,64/1.000) mentre in provincia di Alessandria era di 32,70 infortuni /1.000 addetti/anno.(32,70/1.000)
Ovviamente disponiamo di dati molto più recenti, ma i tassi degli infortuni sul lavoro hanno il brutto vizio di non poter essere calcolati a breve termine. Infatti a due o tre mesi dopo la fine dell'anno è possibile conoscere il numero degli infortuni avvenuti fine anno (in realtà il dato, per motivi che ora non ci interessano, continua a cambiare per alcuni anni, soprattutto per gli infortuni gravi), ma non si conosce il numero delle aziende e degli addetti. Per conoscere questi dati occorre aspettare almeno un altro anno, così che per avere i primi tassi, passano quasi due anni.
E se il lavoro nero è statisticamente correlato a maggiore frequenza di irregolarità ed a maggiore rischio, non è un fattore che modifica significativamente le statistiche (ci sono altri "bachi" nei dati INAIL che influiscono maggiormente, ma di questo parliamo un'altra volta).
Un secondo aspetto che mi colpisce è la paura che "ci sottraggano i morti". La paura per cui si deve sempre dire che "i morti sul lavoro sono in aumento e se non sono in aumento è perché non si conta bene!"
Dobbiamo avere il coraggio di dire che i morti sul lavoro sono troppi. Ma che per fortuna gli sforzi di molti, in primo luogo lavoratori e delle organizzazioni sindacali, ma poi delle imprese, della Magistratura, dei  professionisti della prevenzione e magari anche dei Servizi publici di prevenzione, hanno portato a molta più sicurezza sul lavoro ed a molti meno morti. Sicuramente è non ancora sufficiente, ma c'è molta sicurezza in più.
Vi ho appena raccontato che occorre parlare di frequenze, ma in certi casi (visto che le frequenze non sono calcolabili) anche i numeri possono parlare.  
In 40 anni si è avuta una riduzione di 3 volte degli infortuni mortali. Non solo. Una volta non si consideravano gli infortuni del publico impiego e non si consideravano gli infortuni "in itinere" e gli "stradali", che oggi costituiscono la metà degli infortuni lavorativi mortali.
Questo dato non sminuisce l'importanza dell'impegno per la sicurezza sul lavoro, ma dimostra i risultati ("l'efficacia") dell'impegno e dello sforzo di molti. E bisogna considerare che i risultati conseguiti, non sono conseguiti per sempre. Anzi, occorre un costante impegno per evitare arretramenti dei livelli di sicurezza.

Per quanto riguarda la necessità di più controlli, proviamo a parlarne nei prossimi giorni. Per oggi mi limito a dire che da 15 anni il Piemonte ha intensificato molto l'attività di vigilanza nei cantieri edili (...seguito poi da tutte le altre Regioni ... !...). In realtà non è stata solo intensificata la vigilanza, ma l'attività è stata pianificata ed integrata con attività di assistenza sinergiche, per aumentarne l'efficacia.
Quello che  occorrerebbe evitare è la proposta di sempre nuovi centri di coordinamento, facendo finta di ignorare (o ignorando) che esistono già organismi di coordinamento. L'attività può essere sicuramente migliorata, ma inventare sempre nuovi centri di coordinamento non migliora l'efficienza e l'efficacia del sistema, anzi tende a neutralizzare gli sforzi per realizzare disegni razionali (e, presumibilmente, efficaci).
In ultimo. Le morti per seppellimento avvengono sovente in scavi di trincee, per allacciamenti / manutenzioni di tubazioni e impianti. Gran parte di questi cantieri dura 1 giorno o 2 giorni. E' velleitario pensare che un aumento della vigilanza possa intercettare un maggiore numero di questi cantieri e possa far aumentare la sicurezza per questi lavori.
C'è già chi sorveglia il territorio per altre motivazioni. In particolare la Polizia Municipale è il soggetto che ha maggiormente il polso di cosa succede sul territorio comunale.
Sono già state tentate esperienze di collaborazione tra SPreSAL (Servizi di Prevenzione  Siocurezza negli Ambienti di Lavoro) e Polizie municipali con la formazione della polizia municipale su una paio di questioni critiche relative alla sicurezza sul lavoro. Non si tratta di scaricare lavoro su altri soggetti, ma di collaborare per la prevenzione: solo una rete diffusa di sentinelle (che sappia anche limitare i falsi allarmi) può consentire di preventire eventi quali il sepepllimento in trincea.
Le esperienze, per quanto mi risulta, si sono spente, ma il problema credo risieda nella natura volontaristica di questo approccio. Esperienze di questo tipo, per durare, richiedono un governo da parte della Regione.
Carlo

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